"Cari Social, smettetela di ricordarmi che ho perso il mio bambino"

La notizia della gravidanza da condividere sui social. Poi il dramma dell'aborto. Mentre su Facebook, per la profilazione pubblicitaria, continuano a comparire inserzioni che parlano di neonati. Per questo, Gillian ha inviato un toccante appello ai gestori: "Vi prego, non ricordatemi il mio bimbo nato morto".

Chiunque abbia un po’ di dimestichezza con i social sa che spesso, sui nostri profili, compaiono annunci pubblicitari e inserzioni in base ad alcune ricerche che facciamo su Google, o agli stati che postiamo. Si chiama profilazione pubblicitaria, attuata dalle teach companies, ed è proprio il modo attraverso cui, all’utente dei social network, vengono proposti gli articoli che, giudicando dalle sue interazioni in Rete, potrebbero essere di suo interesse.

Anche la video editor del Washington Post, Gillian Brockell, come tutti noi usa i social media per comunicare molti eventi della sua vita, considerando anche il lato prettamente mediatico della sua professione; così, sempre tramite social ha comunicato anche della sua gravidanza, con hashtag, post, meme, insomma con tutto quello che ogni futura mamma, emozionata e in trepidante attesa di stringere il suo bebè, fa.

Solo che Gillian ha avuto un aborto, un’esperienza terribile e traumatica che, naturalmente, le ha causato un dolore immenso; nonostante ci sia ancora qualcuno che si ostina a non riconoscere l’aborto spontaneo come un lutto, leggere le parole di Gillian al momento della perdita del suo bambino è davvero straziante.

Abbiamo il cuore spezzato nel comunicarvi che il nostro bambino, Sohan Singh Gulshan, è nato morto. Senza che lo sapessimo, qualcosa nelle scorse settimane è andato storto, ha smesso di crescere, e se n’è andata martedì o mercoledì. […] I dottori non hanno idea di ciò che sia accaduto, ma sono speranzosi che in futuro potremo riprovarci. Al momento, siamo devastati.

Dopo aver incassato il terribile colpo, una volta tornata a casa Gillian si è trovata di fronte qualcosa che, ogni giorno, le riportava alla mente il suo bambino: pubblicità, annunci, inserzioni riguardanti passeggini, articoli per neonati e per neomamme, biberon. Post che comparivano in virtù di quello che lei aveva scritto a proposito della sua gravidanza.

La video editor non ha più potuto sopportare oltre il dolore causato dal vedere quelle pubblicità sul suo profilo, e ha deciso di scrivere una toccante lettera per pregare i gestori di tali pagine e le tech companies di non farle più vedere quelle cose.

So che voi sapevate che io ero incinta – si legge nelle righe scritte da Gillian – È colpa mia. Semplicemente non ho saputo resistere a questi hashtag su Instagram: #30weekspregnant, #babybump. Che stupida! E ho anche cliccato una o due volte su alcune pubblicità di abbigliamento da mamme che Facebook mi ha proposto. […]  E come mi avete visto cercare vestiti e oggetti per il mio bambino non mi avete visto anche googlare ‘contrazioni di Braxton Hicks’ e ‘bambino non si muove’? […] Non avete notato i tre giorni di silenzio sui social media, non comune per un utente ad alta frequenza di pubblicazione come me? E poi l’annuncio con le parole chiave ‘cuore spezzato ‘, ‘problema’ e ‘nato morto‘, e le 200 emoticon a lacrima dei miei amici? Non è qualcosa che potete tracciare? Per favore, aggiornate i vostri algoritmi.

[…] E quando noi, milioni di cuori spezzati, clicchiamo in cerca di aiuto “Non voglio più vedere questo annuncio” e dobbiamo poi, per rispondere alla vostra domanda “perché?” cliccare sul crudele ma vero “non è rilevante per me”, sapete cosa decide l’algoritmo? Decide che abbiamo partorito, presumendo un lieto fine alla gravidanza e inondandoti di annunci riguardanti i migliori sistemi di allattamento […] modi per far dormire il tuo bambino tutta la notte […] e i migliori passeggini.

[…] Per favore, compagnie, vi imploro: se siete abbastanza intelligenti per capire che sono incinta e poi presumere che abbia partorito, lo siete abbastanza anche per capire che il mio bambino è morto e propormi quindi della pubblicità adeguata o, magari, nessuna pubblicità.

Il dibattito su ciò che sia lecito o no concedere in pasto ai social e, di conseguenza, che si voglia o no, al pubblico, è sempre attuale, e la stessa Gillian, con il senno di poi, si è data della stupida. Tuttavia, è anche vero che ormai non esiste alternativa alla profilazione pubblicitaria, se non quella di rinunciare ai social. Il punto però non è questo. Non si discute la legittimità del sistema di annunci così concepito, né l’utilità di voler “ragionare” con un algoritmo. Quello che Gillian ha provato a richiedere, con la sua commovente lettera, è un accorgimento che va preso a priori, prima di algoritmi, ricerche, dati e fredde applicazioni. Perché se si pensano sistemi in grado di “presumere” liete nascite, allora si può (e si dovrebbe) fare in modo che possano presumere anche i tristi eventi, e comportarsi di conseguenza.

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