Avere un bambino dopo aver perso un altro figlio
Avere un figlio dopo averne perso un altro. Non parliamo di voler "sostituire" un bambino, ma solo di tornare ad amare. Quando ci sentiremo davvero pronti.
Avere un figlio dopo averne perso un altro. Non parliamo di voler "sostituire" un bambino, ma solo di tornare ad amare. Quando ci sentiremo davvero pronti.
Perdere un figlio è una delle prove più dure cui i genitori possono essere sottoposti, nella loro vita. E, spesso, l’arrivo di un altro figlio dopo la tragedia può essere vissuto come una rinascita, da molti, ma anche come un modo per “lenire” il dolore, in realtà incancellabile, e per reagire alla sorte avversa.
Perché si cerca un figlio dopo averne perso un altro? È una reazione naturale al dolore, o un tentativo per “sostituire” il bambino che non c’è più? Difficile dare una risposta, anche se spontaneamente verrebbe da pensare che una esperienza non escluda l’altra, e che quindi la gioia per la nuova genitorialità non faccia dimenticare né il ricordo, né la sofferenza provata per il figlio morto.
Come spiega la psicoterapeuta Claudia Ravaldi, medico e fondatrice della Onlus CiaoLapo, in questo articolo, la maggior parte delle coppie che sperimentano un lutto perinatale cerca una nuova gravidanza in genere entro l’anno successivo alla scomparsa.
Non esiste un tempo predefinito che non sia quello del “quando ci si sente pronti”.
Non esistono consigli che siano adatti per tutti i genitori e nessuno dovrebbe condizionare la decisione presa dalla coppia, se non sulla base di dati clinici (medici e psicologici) rilevanti. Prima di riprovare sarebbe opportuno scegliere la propria équipe curante (ginecologo esperto di gravidanze a rischio, ostetrica, psicologo) e tenere in considerazione l’esperienza di altri genitori e dei clinici che si occupano di gravidanze successive, al fine di poter decidere il da farsi nel modo più sereno possibile.
Per quanto sia straziante, è fondamentale conoscere le cause che hanno portato alla morte del proprio bambino, sia sotto il profilo psicologico che, ancor più, da quello medico, dato che in questo modo si riesce a prevenire altri eventi simili, intraprendendo fin dalla nuova gravidanza le cure adatte a garantirne il giusto svolgimento e la salute del bambino.
Oltre alle canoniche due mestruazioni date come “tempo” dopo il quale procedere a nuovi tentativi di concepimento, è fondamentale valutare la salute psicofisica della madre, sia in termini di riposo che di alimentazione, ma anche di stili di vita: è opportuno eliminare tutte le dipendenze tossiche, da fumo, alcol o sostanze stupefacenti, consigli che possono sembrare banali e scontati ma che acquisiscono un’importanza evidente di fronte alla labilità psicologica che spesso può accompagnare le donne che hanno vissuto una simile esperienza.
Dal punto di vista psicologico prendersi del tempo per pensare al bambino perduto in modo da trasformare il dolore e il vuoto in un’emozione di dolcezza e ricordo è funzionale al recupero di un buon livello di serenità e di fiducia in sé stessi e nella vita – suggerisce Ravaldi – Le esperienze di molti genitori suggeriscono di attendere da sei mesi a un anno prima di cercare una nuova gravidanza, in modo da poter svolgere il lavoro del lutto con la giusta concentrazione e la giusta forza interiore.
In particolare, un accorgimento che si è rivelato utile nell’esperienza di molti genitori è quello di attendere almeno quattro mesi dopo la perdita, in modo da non sovrapporre i tempi delle due gravidanze: molti genitori che non lo hanno fatto riferiscono come estremamente angoscioso ripercorrere le tappe delle due gravidanze negli stessi periodi dell’anno e riportano maggiori livelli di stress e di preoccupazione, nonché ricordi intrusivi relativi alla gravidanza precedente, più violenti e disturbanti quanto più le due gravidanze sono sovrapposte. È sempre preferibile pianificare la gravidanza tenendo conto sia degli aspetti medici, sia degli aspetti psicologici, sia delle proprie risorse personali.
I genitori che perdono il loro primogenito percepiscono un profondo senso di solitudine esistenziale, che li spinge spesso a cercare soluzioni veloci che possano lenire, all’apparenza, il dolore, senza ascoltare realmente le proprie esigenze e senza talvolta essersi neppure dati il tempo di elaborare veramente il lutto. In casi del genere, confrontarsi con genitori che hanno vissuto un’esperienza analoga può rivelarsi un passo prezioso da compiere.
Molte madri che hanno affrontato un lutto perinatale convivono col timore di non poter più restare incinte, o di veder ripetere l’accaduto, e lo stesso dicasi per i padri, che vivono con costante ansia e stress l’eventuale nuova gestazione della compagna.
Anche per questi motivi è fondamentale scegliere il personale cui si decide di rivolgersi con cura, in modo da stabilire un rapporto di fiducia che faccia sentire anche sufficientemente a proprio agio da condividere paure, ansie e timori.
Può capitare che le madri nuovamente in attesa sperimentino situazioni contrastanti nei confronti del bimbo che portano in grembo, arrivando a provare costantemente l’angoscia di poterlo perdere oppure, paradossalmente, “disinteressandosene”, pensando ad altro pur amandolo, proprio per non vivere nel continuo timore di perderlo.
Ovviamente è leggermente diverso il caso di coppie che hanno già figli, che tendono a vivere con meno ansie l’eventuale nuova gravidanza, avendo già sperimentato l’epilogo positivo di una gestazione.
Stabilire un legame col nuovo bambino non significa rinnegare il bambino scomparso, né sostituirlo, né ‘affezionarsi troppo’ – dice ancora Ravaldi – significa semplicemente lavorare sul legame di tutta la famiglia (marito, eventuali figli già presenti, bambino perduto) col nascituro, raccontargli e raccontarsi riflessioni ed esperienze, accoglierlo con attenzione e cura. Ri-conoscere il nuovo bambino è più facile se abbiamo trovato il giusto spazio psichico per il bambino scomparso, e se, come dicevamo prima, abbiamo sufficienti energie per concentrarci sulla nuova esperienza.
Moltissimi genitori, pur avendo vissuto un lutto perinatale, scelgono di non parlarne, altri invece si aprono con sincerità sulla propria esperienza; naturalmente, la decisione è del tutto intima e personale, e merita rispetto, qualunque essa sia. Fra le coppie che hanno voluto condividere il loro dolore pubblicamente ci sono Amber Scorah, che ne ha scritto in un articolo per il New York Times, e suo marito.
“La prima notte che ho trascorso con mia figlia in ospedale, la sua faccia da neonato gonfia e paonazza assomigliava tanto a quella di suo fratello, mi sentivo confusa. Era passato meno di un anno da quando avevo tenuto mio figlio per l’ultima volta, e ora ero di nuovo madre. […] Quando avevo tenuto Karl per la prima volta in quello stesso ospedale in cui non potevo sopportare di tornare per la nascita di mia figlia, era il bambino che era esistito. È stato il mio unico figlio fino alle 23:11 della notte della Strawberry Moon.
Ora che cresce, non posso fare a meno di cercare Karl in mia figlia, ma sembra molto diversa da lui. […] Sono così profondamente grata di averla, questa meravigliosa bambina. Eppure a volte mi sento arrabbiata per non aver potuto scegliere. Le altre persone non dovevano decidere fra un figlio e l’altro. Quando avevano due figli, avevano entrambi.
Con Karl, tutto era gioia. Non c’era ombra di dolore da portare con sé per tutta la vita; non c’era timore di cosa potesse succedere. Se fosse stato figlio unico, sarebbe stato il figlio unico. Non c’era nessun fratello ossessivo, nessun fratello invisibile.
[…] Mia figlia, d’altra parte, è figlia unica, ma non lo è. Come risponderà alla domanda ‘Hai fratelli e sorelle?’. Come disegnerà la foto della sua famiglia? Ho il cuore spezzato per lei, perché anch’io conosco la disperazione di dover fare una pausa e decidere come rispondere ogni volta che qualcuno chiede: ‘È lei la prima?’. Le persone lo chiedono più spesso di quanto si possa pensare.
Voglio mia figlia. Ma voglio anche mio figlio. Un altro bambino non sostituisce quello perso. Un altro bambino mi ha permesso di vivere di nuovo, di tornare con gratitudine alla maternità, di sopravvivere al lutto. So che molti che perdono i bambini non sono fortunati come me, ad averne un altro. Ma l’abisso che mi logora è sapere che l’assenza di mio figlio è ancora lì, ogni mattina, in ogni vacanza, in ogni compleanno, ogni volta che sono vicino a un bambino nato in quel periodo, o a bambini che sono cresciuti, senza di lui.
[…] Sono coraggiosa per mia figlia. Ma cosa accadrà man mano che cresce? Di recente, mia nipote di 5 anni, cugina di Karl, mi ha chiesto di punto in bianco a tavola: ‘Che aspetto aveva Karl quando è morto?’. Se c’è qualcuno là fuori che sa come rispondere a questa domanda, per favore me lo dica. Perché io non so che aspetto avesse quando è morto. E quindi non conosco nessun altro modo di rispondere, se non quello di descrivere qualcosa che nessuno dovrebbe mai sapere, e nessuno, tranne un bambino di 5 anni, vuole sapere.
Ho camminato con mia figlia attraverso Soho, vicino al luogo in cui Karl è morto, ma non riesco ancora a entrare entro un raggio di due isolati da dove è successo, in Greene Street. Sono passati quasi quattro anni e da quel giorno riesco a malapena a respingere le immagini che mi vengono in mente. Tengo stretta la mano di mia figlia e lei non ha idea che stia facendo inutili giri per evitarlo. Sto chiacchierando amabilmente con lei, perché essere una madre significa indossare una maschera calma, mostrare sicurezza per il tuo bambino. Un giorno, le dirò perché non ci andiamo.
Per ora, mostro a mia figlia le foto di suo fratello e parlo di lui. Le dico che ha un fratello e che si chiamava Karl. Le dico che è suo fratello maggiore, ma è confusa perché, nelle foto, è molto più piccolo di lei. Le dico che Karl era determinato. Era il bambino più curioso che abbia mai incontrato; aveva gli occhi che brillavano. Non ha ancora 3 anni, quindi non ha ancora imparato a porre le domande alle quali non so rispondere”.
Danielle Walker, autrice e fotografa del best seller Against All Grant, ha perso un figlio , e ne ha parlato pubblicamente.
“Sono una mamma di 3 bambini, incluso un bimbo arcobaleno. Ci sono termini che non ho mai sentito prima di perdere mia figlia Aila, il mio angioletto, poco dopo la nascita. Perdere un bambino ti porta in un mondo completamente diverso, con nuove emozioni, linguaggi e relazioni. Ti spinge in una comunità di genitori, un club se vuoi, che non ti saresti mai aspettata di frequentare, e a cui non ti sei unita per scelta.
Sei mesi dopo la nascita di Aila siamo stati sorpresi nell’apprendere che eravamo di nuovo in attesa di un bimbo rendendomi così la mamma di un piccolo chiamato ‘bambino arcobaleno’, un bambino nato dopo la perdita di un figlio, portando bellezza (come un arcobaleno) dopo la tempesta successiva alla perdita. Io però ho lottato duramente contro l’adozione di questo termine e sulla dicotomia dell’arcobaleno e della tempesta che avvengono contemporaneamente.
Un bellissimo arcobaleno appare quando luce e pioggia arrivano insieme, in altre parole quando vedi un arcobaleno la tempesta sta ancora indugiando. La tempesta è ancora presente nella mia vita ma con questo glorioso arcobaleno attendiamo la nascita del nostro terzo bimbo.
La parte più intensa della tempesta è passata, ma ha lasciato dietro di sé detriti e un lascito difficile da descrivere, un po’ come una città che viene lasciata in rovina dopo il passaggio di un tornado o di un uragano. La mia tempesta si rompe e si dissolve per il sole, risate, gioia e pace più spesso di quello che era solito accadere. Ma una gravidanza successiva alla perdita di un bambino ti può riportare nel cuore della tormenta, non importa quanta guarigione e progressi tu abbia fatto. Con essa porta una marea di ricordi. Ci sono momenti che si infrangono e soffiano come un tuono accentuando la realtà che Aila è con noi solo con lo spirito. La verità mi circonda in ondate di emozione e mi lascia inerme e senza fiato.
Con una gravidanza dopo la perdita di un figlio hai due scelte: vivere nella paura o nella fede. Prima di perdere Aila non avevo idea di quante complicazioni avrebbero potuto influenzare una gravidanza. Ora conosco termini come Osteogenesi imperfetta di tipo 2, anencefalia, Trisomia 13 e nato morto. Parole che mi suonavano estranee ora sono parte del mio vocabolario quotidiano, come lo sono per gli amici che ho incontrato in questo viaggio. Noi conosciamo ognuno di questi termini come conosciamo il nostro nome.
In tutta questa gravidanza, a dispetto del sapere che tutti i test genetici erano ottimi, potenziali minacce erano sempre presenti, e ho realizzato in fretta che avere un bimbo dopo una perdita simile è il lavoro più duro che abbia mai fatto.
Ho contato i giorni finché non ho potuto avere un’ecografia precoce e accertarmi che il piccolo stesse crescendo. Mi svegliavo senza fiato nel mezzo della notte con i ricordi del giorno in cui abbiamo ricevuto la diagnosi di Alla, quando il volto del tecnico è sbiancato e ha smetto di parlare mentre effettuava la scansione. Ho avuto paura che ci fosse qualcosa che non andava con la gravidanza, sarebbe stata l’ultima goccia che mi avrebbe distrutto definitivamente e da cui non mi sarei ripresa.
L’appuntamento della 20° settimana è stato intriso di gioia e dolore mentre guardavamo sullo schermo tutte le cose che ci aspettavamo di vedere con Aila, ma di cui siamo stati privati. Ogni dito del piede e della mano che ci hanno mostrato i medici ci ha fatto piangere di gioia perché questa volta era sano, ma anche con angoscia perché ci ha ricordato quanto fosse formata in modo scorretto la nostra bimba.
Il mio cuore era troppo pesante per festeggiare con un baby shower perché era troppo doloroso ricordare che non ne avevo fatto nessuno per Aila. Scegliere i vestiti per un nuovo bambino o cose per la cameretta è stato difficile ma non sono ancora stata capace di disfare le scatole che abbiamo messo via.
[…] Aila sarà sempre parte della nostra famiglia e questo nuovo bambino crescerà sapendo che c’è una sorella maggiore, una bambina lassù in cielo. […] Forse il consiglio più importante alle mamme in lutto per la perdita di un bambino e che ora stanno portando dentro di loro una nuova vita, è quello di essere gentili con se stesse. Capire che ci sono dei limiti e se la tempesta ritorna e qualcosa è troppo difficile da sostenere, va bene anche fare un passo indietro e isolarsi un momento per proteggere il proprio cuore. Va bene sentirsi tristi per la tempesta persistente mentre contemporaneamente festeggi la bellezza dell’arcobaleno. Sappiate che è normale sentirsi in colpa nei festeggiamenti, o come se stessi dimenticando il tuo piccolo angelo, ma non lo stai facendo che sarà sempre nel tuo cuore“.
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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