“C’erano solo gli occhi grandi, nessun altro sintomo”. Così Erika, mamma di Rebecca, ha raccontato di quando, cinque anni fa, aspettava la sua bambina, che soffre della sindrome di Pfeiffer, una malattia genetica rara che, nei casi più gravi, può portare anche alla morte prematura.

Parliamo di una malattia descritta per la prima volta nel 1964, che colpisce un neonato su 100 mila, e che dipende dalla craniosinostosi, ovvero dalla fusione prematura di alcune ossa del cranio, le quali per questo motivo non crescono normalmente.

La malattia può però colpire anche le ossa di mani e piedi, con sindattilia o brachidattilia (dita insolitamente corte) ed è caratterizzata proprio dagli occhi sporgenti – esoftalmo – dovuti proprio alla crescita abnorme delle ossa, e molto distanti fra loro (ipertelorismo), oltre a fronte alta, mascella superiore sottosviluppata e naso a becco.

Cause della sindrome di Pfeiffer

La sindrome di Pfeiffer dipende da mutazioni dei geni FGFR1 o FGFR2, che determinano la chiusura precoce delle suture craniche e la fusione delle dita di mani e piedi. Se la mutazione di FGFR1 è associata a segni clinici più lievi, quella del genere FFR2 porta invece a manifestazioni più gravi della malattia; nella gran parte dei casi la mutazione si crea de novo, ovvero in modo spontaneo, durante lo sviluppo dell’embrione.

Tipologie di sindrome di Pfeiffer

In base al grado di coinvolgimento del cranio vengono distinti tre sottotipi della malattia:

  • Tipo 1: è il più frequente, in cui i segni clinici sono lievi-moderati, e spesso il cranio è così poco coinvolto che in realtà le anomalie dei piedi possono rappresentare la sola manifestazione clinica della malattia.
  • Tipo 2: la craniostenosi è grave e determina una trilobatura del cranio (il cosiddetto cranio a trifoglio), è sempre presente una marcata sporgenza dei globi oculari, e ci può essere la fuoriuscita, più o meno parziale, del globo stesso (lussazione oculare).
  • Tipo 3: è simile al tipo 2, con marcata protuberanza oculare, turribrachicefalia (ovvero il cranio appiattito in senso antero-posteriore e con un maggiore sviluppo verso l’alto) senza cranio a trifoglio.

A queste anomalie possono associarsi complicanze e malformazioni cerebrali vare, come l’idrocefalo, ad esempio, ma anche difetti uditivi (ipoacusia trasmissiva), anomalie scheletriche (anchilosi del gomito), e problemi dentali.

Sopravvivenza e aspettativa di vita

La diagnosi prenatale è possibile se l’ecografia evidenzia craniostenosi, ipertelorismo con proptosi o pollici larghi, mentre è il test genetico che può confermare la diagnosi. I tipi 2 e 3 sono più gravi, e spesso comportano problemi al sistema nervoso, visto che la fusione prematura delle ossa del cranio può portare a una limitata crescita del cervello, con conseguenti ritardi nello sviluppo e altri problemi neurologici.

Volendo riassumere, potremmo dire che la tipologia 1 ha una gravità limitata, per cui l’aspettativa di vita dei bambini che nascono con questa forma della sindrome di Pfeiffer è assolutamente normale; le probabilità di morte si alzano invece drasticamente nella tipologia 2, dove la compromissione neurologica è spesso gravissima.

Nel tipo 3, infine, la prognosi rileva cranio più appiattito e proptosi più grave, con danni neurologici e ritardo mentale, mentre l’aspettativa di vita è purtroppo ridotta.

Sindrome di Pfeiffer: intervento e cura

Nella sindrome di Pfeiffer il trattamento chirurgico mira a correggere le anomalie del cranio e della faccia, con un intervento di ricostruzione cranica previsto tra i 4 e i 12 mesi di vita; i tempi possono però essere anticipati laddove sia presente un’ipertensione endocranica, oppure in caso di idrocefalo.

Per le anomalie facciali si usano metodiche di distrazione osteogenetica, ovvero di allungamento delle ossa, per ottenere l’avanzamento facciale. Nei sottotipi con una marcata proptosi, invece, e dove ci sia un alto rischio di lussazione, è possibile effettuare interventi chirurgici di parziale chiusura delle palpebre.

La storia di Rebecca

Abbiamo cominciato questo articolo parlando di Rebecca, una bambina di cinque anni la cui mamma, Erika, ha deciso di raccontare la storia e la quotidianità aprendo un blog, #teamrebecca. A lei, alla mamma di questa meravigliosa bambina, abbiamo chiesto cosa significa vivere la normalità quando si ha la sindrome di Pfeiffer.

Quando e come avete scoperto che Rebecca aveva la sindrome di Pfeiffer?

La sindrome di Pfeiffer ha dei tratti della fisionomia e caratteristiche tipiche, anche se comuni ad altre sindromi, quindi quando è nata sapevamo che c’era qualcosa di raro. La diagnosi confermata arriva sempre con un test genetico. Da lì non si scappa.

Che cosa vi hanno detto riguardo le aspettative e la qualità della vita?

Ogni bambino è a sé e, per quanto si possa conoscere una sindrome, è il bambino stesso, insieme alla famiglia e all’équipe che lavora con lui, a fare la differenza. Se ricordo quello che ci avevano detto di Rebecca scoppio in una gran risata…

Rebecca oggi ha 5 anni: com’è la sua quotidianità?

Penso come quella di tanti altri bambini: gioca, va all’asilo, ha i suoi amichetti, fa i capricci. In più fa logopedia e psicomotricità. Abbiamo sempre cercato di garantirle la normalità, senza vincoli né restrizioni.

Temete che, quando andrà a scuola, potrebbe trovarsi ad avere a che fare con il bullismo e le domande “scomode” degli altri bambini?

Come ogni genitore spero di no, soprattutto per la questione bullismo. Viviamo in una piccola realtà e spero che per i bambini con cui crescerà lei sarà semplicemente Rebecca. Ovviamente molto faranno i genitori e come affronteranno la questione con i propri figli. Nel mio piccolo cerco di renderla forte e indipendente, e a difendersi se necessario, il bullismo è sempre esistito e lo supereremo insieme, come tutto il resto.

Che cosa le dite? Lei vi chiede qualcosa rispetto al suo aspetto, sa che tipo di sindrome ha, ne ha mai sofferto?

Assolutamente niente di tutto ciò (almeno per il momento!). Lei sa che aveva la tracheo e sa di avere il tubicino (si parla della derivazione che dalla testa arriva al pancino e che aiuta il liquor in eccesso a drenare così da non causare ipertensione), sa anche di avere un braccio più bloccato dell’altro, ma per lei è la normalità. Noi vediamo la differenza.
Sono sicura che soprattutto con la crescita e la presa di coscienza le domande arriveranno, ma sapremo affrontare anche quelle.

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