Le donne in gravidanza, nei corso dei mesi di gestazione, devono stare attente a diverse patologie, fra cui iperemesi gravidica, diabete gestazionale o eclampsia.

Quest’ultima, in particolare, può essere estremamente pericolosa, anzi addirittura mortale, sia per la mamma che per il feto.

Cos’è l’eclampsia?

Parliamo di una grave patologia della gravidanza, potenzialmente letale, in cui sono presenti convulsioni, e che rappresenta la complicanza peggiore della preeclampsia o gestosi, la quale può insorgere dopo la ventesima settimana di gravidanza e può provocare distacco di placenta e parto pretermine, aumentando di conseguenza anche i rischi per il neonato.

La parola eclampsia deriva dal greco antico e significa “fulgore improvviso (di lampi, armi, fuoco)”, ma Ippocrate l’ha poi usata per descrivere attacchi febbrili improvvisi e violenti. Come detto, parliamo della peggiore conseguenza della preeclampsia che, come si legge su MSD Manuals, interessa circa il 3-7% circa delle donne in gravidanza; che cosa comporta? Prima di tutto un aumento dei valori della pressione sanguigna, accompagnato dalla presenza di proteine nelle urine (proteinuria). L’eclampsia interessa invece l’1% delle donne con preeclampsia grave ma, come detto, se non trattata adeguatamente può rivelarsi letale.

Benché la gran parte delle volte, come detto, la preeclampsia (con o senza eclampsia) compaia dopo le 20 settimane di gravidanza e prima della fine della prima settimana successiva al parto, in un quarto dei casi si manifesta dopo il parto, generalmente entro i primi quattro giorni, ma a volte anche fino a sei settimane dopo il parto.

In una/due donne su 10 con preeclampsia o eclampsia gravi si può sviluppare la sindrome di HELLP, che consiste  in:

  • Hemolysis, (emolisi), rottura dei globuli rossi;
  • Elevated levels of Liver enzymes (livelli elevati di enzimi epatici), che indicano danni al fegato;
  • Low Platelet count (bassa conta piastrinica), che riduce la capacità di coagulazione del sangue aumentando il rischio di sanguinamento durante il travaglio.

Cause e fattori di rischio dell’eclampsia

Come detto l’eclampsia è preceduta dalla preeclampsia, le cui cause sono sconosciute, ma che certamente presenta alcuni fattori di rischio, ad esempio:

  • è più frequente nelle donne alla prima gravidanza;
  • in caso di parti plurimi;
  • preeclampsia nella gravidanza precedente;
  • familiarità con persone che hanno avuto la preeclampsia;
  • obesità;
  • ipertensione o disturbi vascolari;
  • è più frequente nelle donne minori di 17 anni o maggiori di 35.

Sintomi dell’eclampsia

Il sintomo evidente dell’eclampsia è appunto la convulsione, scosse tonico-cloniche generalizzate, della durata di pochi minuti. Ci sono però alcuni sintomi che possono portare a pensare alla preeclampsia, benché alcune donne siano asintomatiche, ad esempio:

  • edema (accumulo di liquidi) localizzato nelle mani, nelle dita, nel collo e nel viso, intorno agli occhi ma anche nei piedi. Si può verificare un aumento di peso e notare la difficoltà a indossare anelli.
  • petecchie (comparsa di puntini rossi) sulla pelle, che indicano sanguinamento cutaneo.

I sintomi più gravi includono:

  • cefalea forte;
  • visione distorta;
  • stato confusionale;
  • difficoltà respiratorie;
  • dolore localizzato sopra il fegato;
  • nausea e/o vomito;
  • minzione ridotta;
  • pressione arteriosa molto elevata;
  • ictus (più raro).

La forma grave di preeclampsia può arrivare a danneggiare organi come il cervello, i reni, i polmoni, il cuore o il fegato.

Trattamento, conseguenze e rischi

La preeclampsia viene trattata proprio perché non evolva in eclampsia, generalmente con il ricovero e talvolta con dei farmaci per trattare l’ipertensione; le donne con grave preeclampsia o eclampsia vengono ricoverate in unità speciali o in un’unità di terapia intensiva (UTI).

La soluzione migliore resta il parto prematuro, effettuato non appena possibile, in queste situazioni:

  • gravidanza almeno alla trentasettesima settimana;
  • eclampsia;
  • preeclampsia grave con gravidanza che ha raggiunto/superato la trentaquattresima settimana;
  • peggioramento dei danni agli organi della madre;
  • sindrome HELLP;
  • problemi fetali.

Qualora il parto debba essere rinviato (perché, ad esempio, non si è ancora alle 34 settimane) vengono somministrati alla gestante corticosteroidi per favorire la maturazione dei polmoni del feto.

Non tutti i casi di preeclampsia sono però gravi; in questi casi le donne vengono generalmente invitate a cessare alcune attività, ad esempio il lavoro, o a mutare alcuni comportamenti, ad esempio si chiede loro di stare sedute il più a lungo possibile, evitando lo stress.

In caso vengano comunque ricoverate, dopo il ritorno a casa devono effettuare un non stress test del feto dal medico almeno una volta a settimana, per monitorare elettronicamente la frequenza cardiaca del feto, sia quando è immobile che quando si muove.

Nei casi di eclampsia, alla donna viene somministrato solfato di magnesio per via endovenosa, per prevenire o bloccare le convulsioni. Se non dovessero passare, allora si inietta, sempre per via endovenosa, un anticonvulsivante (diazepam o lorazepam), e in aggiunta un farmaco per ridurre la pressione sanguigna (idralazina o labetalolo), tutti somministrati per via endovenosa.

Anche dopo il parto le donne che hanno manifestato preeclampsia o eclampsia devono assumere solfato di magnesio per 24 ore e restare monitorare, perché restano a rischio convulsioni. Devono inoltre farsi visitare dal medico ogni una o due settimane, in aggiunta alla visita di controllo dopo 6 settimane.

Per quanto riguarda i neonati, quelli partoriti da donne che hanno manifestato preeclampsia hanno probabilità quattro o cinque volte maggiori di sviluppare problemi dopo la nascita, mentre più di rado la preeclampsia può provocare il distacco precoce della placenta, il che può condurre a un parto pretermine che, ovviamente, comporta ulteriori rischi per il bambino.

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!